Anziani fra cambiamento
Di Dante Balbo
La nostra società occidentale si sta misurando con due questioni che non possono essere eluse: la globalizzazione culturale, prima che del mercato, e l’invecchiamento della popolazione.
Il primo fenomeno è sotto gli occhi di tutti, perché è ancora vivo nel nostro ricordo il fatto che in tempo reale abbiamo visto cadere le Torri gemelle, con la morsa allo stomaco e la sensazione di essere lì, ma nello stesso tempo di vivere in un film, di essere inesorabilmente tagliati fuori.
Oggi il nostro telecomando passeggia per i programmi televisivi di decine di paesi, scopertine/copre che in Germania le pubblicità dei pannolini sono uguali a quelle inglesi e svizzere.
Molti di noi da casa regolano i loro conti, scrivono agli amici senza un francobollo, fissano appuntamenti e mandano articoli alle riviste.
Non è solo internet, ma il negozio accanto che oggi ci fornisce prodotti che non conoscevamo, è la nostra amica con la quale intavoliamo discussioni serratissime su un caso di omicidio di una valle Italiana, come se fossimo i vicini di casa o i parenti della vittima.
Progressivamente la cultura sta cambiando, le distanze si accorciano e il volume di informazioni a cui potenzialmente abbiamo accesso è infinito e non basterebbero dieci vite solo per scorrerle tutte.
Cara Vecchia Europa
Il secondo dato è più difficile da capire, perché sono questioni economiche che ce lo portano alla ribalta, con il costo sociale delle pensioni, con la riduzione dei giovani che lavorano e risparmiano, con l’aumento dei costi sanitari in relazione all’invecchiamento della popolazione.
Che gli svizzeri abbiano pochi figli non ci stupisce, anzi chi ha molti bambini sembra un fenomeno da fiera, va in televisione e fa notizia. Il fenomeno dell’invecchiamento è qualcosa che non ci tocca direttamente, finché siamo giovani o di mezza età, a meno che non lavoriamo nel settore. E’ come la morte, qualcosa di cui non si parla, in parte per negarla, in parte perché non si saprebbe effettivamente cosa dire.
Eppure gli anziani sono sempre di più, stanno diventando un mercato fiorente, un nuovo target per le industrie, oggetto sempre maggiore di messaggi pubblicitari.
Non è questa la sede per addentrarci in statistiche, ma un fatto è certo, le persone vivono di più e oggi non è difficile trovare un ottantenne o novantenne, magari ancora a casa sua, che legge anche se con gli occhiali, va a fare la spesa e impara persino i nuovi orari dei bus che cambiano da un anno all’altro.
Che impatto ha la globalizzazione sulla popolazione anziana? Chi sono gli anziani che abbiamo di fronte oggi? Come misurarci con le loro esigenze?
Al centro del quadro, la memoria
Quando siamo in contatto con gli anziani, corriamo due rischi gravi, tutti e due frutto del pregiudizio, della nostra idea di anziano, magari confermata da chi, a questa idea si adatta.
Il vecchio idiota
La prima idea, forse la più immediata, è che un anziano tanto non si adatterà mai ai cambiamenti e che deve essere protetto, o accettato come uno che sarà fuori dal tempo.
Oggi tutto si muove troppo in fretta e non è possibile che i nostri vecchi ce la facciano a tener dietro ai cambiamenti, soprattutto se sono tecnologici.
Un esempio per tutti: le cabine telefoniche. Oggi sono scomparsi quei begli elenchi di carta, che si sfogliavano, quando non erano stati trafugati da qualche vandalo birichino. Al loro posto c’è uno schermo digitale, sul quale si clicca direttamente sulle icone e si scorrono elenchi di tutta la Svizzera, magari anche stranieri.
E un povero anziano come farà?
Qui l’inganno è sottile, perché si confonde una difficoltà tecnica, quella di una presentazione globale e a più livelli degli elementi da consultare, con una difficoltà mentale.
L’anziano non è un idiota, ma semplicemente si scoraggia perché gli strumenti sono poco accessibili dal punto di vista della presentazione logica.
Non si tratta di grandezza delle lettere sullo schermo, ma di una logica diversa di presentazione delle informazioni. Dal punto di vista strettamente visivo, l’elenco telefonico è più difficile da leggere, ma l’ordine alfabetico e la distribuzione in colonne è una cosa alla quale siamo abituati fin da piccoli.
Nel caso degli schermi degli elenchi telematici, il problema è di logica, la logica dei livelli multipli dei menu di questi strumenti, che con la condizione di anziano ha a che fare indirettamente, mentre è una questione che anche per molti più giovani, diventa un ostacolo insormontabile, se non hanno acquisito una mentalità informatica.
E’ lo stesso problema per cui molti anziani o meno, utilizzano il telecomando del televisore come un selettore di canali già programmati, piuttosto che un programmatore dell’apparecchio televisivo.
I nostri figli, che con il computer sono nati, non hanno nessuna difficoltà a lavorare con la logica dei menu a scelta multipla, né a riconoscere in uno schermo pieno di informazioni quella che interessa loro.
Questo non ha a che fare con gli anziani, ma con il fatto che la tecnologia si evolve più in fretta della capacità media di adattamento, oppure con il problema della scuola che non ha ancora trovato gli strumenti giusti per insegnare la logica matematica.
Certo, per gli anziani, che già sono in difficoltà come tutti gli altri, non è incoraggiante mancare di strumenti e di motivazioni e ci vuole il doppio di tenacia per conquistare quello che mia figlia sa automaticamente a sette anni.
Il vecchio giovane
L’altro pregiudizio, altrettanto dannoso, è che è proibito invecchiare, smettere di correre, di aggiornarsi e soprattutto, bisogna divertirsi ad ogni costo. Un anziano deve socializzare, deve partecipare, deve interessarsi, deve trovare una compagna o un compagno, deve fare sesso, deve fare sport, deve essere aggiornato, meglio se usa il computer e si connette a internet, così non è tagliato fuori.
Il fatto è che, prima di entrare nella categoria anziani, forse qualcuna di queste cose non la conosceva neppure, ma adesso sì che potrà, anzi, dovrà… Se un anziano passa semplicemente le sue giornate fra casa e parco, magari facendo un po’ di spesa e bevendo un bicchiere al bar, la diagnosi di depressione, prima o poi qualcuno gliela appioppa.
Nostalgici e nevrotici
Questi due pregiudizi generano nell’anziano due atteggiamenti corrispondenti: la nostalgia di un tempo dorato in cui le cose andavano meglio e la sensazione di inadeguatezza, di incapacità ad essere giovane dentro.
“Ai miei tempi” è una frase che fin dalla Grecia classica tutti gli anziani prima o poi hanno pronunciato e di per sé potrebbe essere anche indice di saggezza, perché indica che c’è un tempo nella nostra memoria, nel nostro intimo, che ci appartiene, nel quale ci siamo sentiti vivi e autentici, che anzi, proprio perché è passato, acquista luce e valore.
Ma spesso è indice di rassegnazione, di morte precoce, di fuga dal presente, troppo complicato, troppo di corsa, troppo malvagio.
Ma d’altra parte se il mondo intero mi conferma che sono inutile, che non sarò capace di imparare, che ormai il mio tempo è finito, mi resta almeno un tempo mio, magari solo da ricordare, ma intatto e splendido.
Se invece seguiamo l’altro insulto alla vecchiaia, quella febbre che la nega, che fa crescere i fatturati delle palestre e dei beauty centers, scopertine/copriamo l’anziano affannato, stressato, superficiale, sempre di corsa, finché non si ammala e allora, invecchia di colpo, chiede l’eutanasia e in un certo senso, ha ragione, perché davvero adesso non vale più niente.
Ritroviamo la memoria
Oggi sono molti i corsi organizzati per conservare o ritrovare la memoria, ma sono intesi in senso funzionale, in termini di efficienza, con la stessa logica di un meccanico che collauda un’auto con centomila chilometri.
La memoria è un’altra cosa, è apertura al domani, consapevolezza di avere qualcosa da dire, certezza che incanta.
Quando incontriamo dei vecchi che ricordano senza invidia, senza amarezza, con un velo di dispiacere perché chi li ascolta e non ha potuto vivere la ricchezza , la pienezza di ciò che raccontano, il nostro sguardo si fa assetato e staremmo lì per giorni ad assaporare le loro parole.
Molti dei nostri vecchi questa memoria l’avrebbero, ma hanno bisogno di qualcuno che l’accenda, che la faccia fiorire, che la alimenti.
Per raccontarsi e ascoltare si superano gli ostacoli; ho incontrato anziani che a settant’anni hanno imparato ad usare il computer, per poter comunicare, imparare, creare.
Questi vecchi non hanno bisogno di restare giovani, perché più invecchiano e più si stupiscono per le meraviglie che il mondo riserva, non hanno paura delle tecnologie, perché sanno che una persona non si misura dai bytes che produce e per questo, sono pronti ad andare anche su internet, per comunicare con qualcuno.
Questi vecchi sono giovani che hanno posto, invecchiando, i rapporti al centro della loro vita, come un bene che non si scambia, o meglio, che più si scambia e più si moltiplica.
Questi sono uomini e donne che hanno scopertine/coperto davvero la globalizzazione, non come risposta ad un bisogno, ad una povertà, ma come esperienza di ricchezza, di sovrabbondanza, di lavoro che produce beni, anche se sono acciaccati e non fanno footing tutte le mattine sulla spiaggia.
Una memoria così non si improvvisa a settant’anni, si coltiva nei nostri figli, si fa crescere nel nostro quotidiano, riformando continuamente il nostro pensiero, fino a fargli scopertine/coprire che anziani, giovani, bambini, sono solo categorie anagrafiche, che niente hanno a che fare con le persone, se non per classificarle, mutilarle, abbruttirle.
(*) responsabile del Servizio Sociale e del Servizio Adozioni di Caritas Ticino, psicologo e psicoterapeuta.